Forse conviene fermarsi un attimo e parlare di noi, noi che è un poco di più, molto di più, di Esserevento, di Finansol, ma ha lo stesso dna, gli stessi occhi, lo stesso sguardo, la stessa direzione forse, però, sembra, non gli stessi modi per arrivarci.
Anche in rete qualche sussulto sta già emergendo, qualche domanda farsi avanti.
E noi è proprio a queste domande, anche nostre, che vogliamo dare cittadinanza, per elaborare risposte. Dove sta andando “Fa la Cosa Giusta”?
Il prossimo fine settimana, dal 25 al 27 marzo, si svolgerà, a Milano, infatti, l’ottava edizione di questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Ormai ci vanno tutti. A visitarla. E quasi tutti a vendere i loro prodotti. E’ cresciuta enormemente negli anni, del 30% solo nell’edizione dello scorso anno, arrivando a 65.000 visitatori, 630 giornalisti accreditati e ben 620 espositori.
Si direbbe che l’Economia Solidale, l’economia altra, abbia vinto. Ha vinto. L’attenzione collettiva lo dice, i numeri lo dimostrano, gli incassi lo certificano. Sulla quantità è una sfida, una vittoria, raggiunta per ko sullo scetticismo. E la qualità?
Con queste quantità, impensabili solo 3-4 anni fa, la qualità, le attenzioni, le scelte possono essere ancora dello stesso livello? L’unica economia etica, solidale, possibile è un’economia che fa delle scelte e si dà delle priorità, giusto? Ed allora osservando, anche con poca attenzione, gli sponsor, i produttori che utilizzano la Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, per promuovere il loro brand, i loro affari, i loro fatturati, i loro dividendi, le loro quote di mercato, qualcosa sembra non fare somma.
Perché si sa, oggi, lo dimostra appunto il boom di questi anni della Fiera Fa la Cosa Giusta, la fascia di popolazione che crede al biologico, allo sviluppo ecosostenibile, al naturale, all’equosolidale e via dicendo, è sempre più ampia e quindi le imprese ci si buttano a pesce. O direttamente andando alla fonte, come in questo caso, o producendo linee “etiche”, come i fondi responsabili delle banche.
Perché alla fine il consumatore deve sempre comunque fare i conti con i soldi che ha in tasca per poter arrivare a fine mese. E le economie di scala, i capitali a disposizione, le posizione di privilegio, il marketing ruffiano, caspita ti fanno prima spalancar le porte e poi il portafogli.
Alcuni marchi, alcuni nomi, di economia solidale, locale e di piccolo hanno ben poco, quasi nulla. Le multinazionali quotate alle Borse della finanza, Philips, Peugeot e Lindt. Ed altre che di prodotti a KmO e produzione artigianale ormai non hanno più nulla, se mai l’hanno avuta.
Eppure fin dal primo anno questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili FLCG ha un evidente sezione sul cibo che quest’anno è pure il “cuore” speciale attorno a cui si articolerà tutta “Fa la Cosa Giusta”. “Mangia come parli”. Eppure gli sponsor sembrano essere, sono, i formaggi, il cioccolato e le caramelle svizzere.
Le prime due aziende multinazionali citate (Peugeot e Philips) vengono messe all’indice dalle e.mail che girano in rete e che invitano a leggere la Guida al Consumo Critico del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sia per i loro fatturati che per gli elevati investimenti in pubblicità sulle reti televisive.
Poi, oltre a queste due, ci sono quelle aziende, quegli sponsor che del marketing etico fanno una bella strategia di comunicazione.
La Coop con i suoi supermercati e centrali di acquisto oligopoliste, modelli mica tanto credibili in un percorso di sostenibilità. O Legacoop a cui gli stessi visitatori di FLCG, non è per nulla escluso, si spera, hanno manifestato più volte la loro contrarietà per il coinvolgimento nella costruzione e gestione di vari CPT, ora CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione di migranti senza visto. O per il business degli appalti alla Base militare Usa Dal Molin di Vicenza, delle varie Tav. Dalla Val di Susa in giù.
Sorge perciò spontanea una domanda: quali sono i criteri con cui gli organizzatori selezionano le domande di sponsorizzazione e dei produttori? Visto che mediamente ogni stand non costa pochino. 1500/2000 euro per 16mq? (con un criterio di pagamento che meriterebbe anch’esso qualche domanda)
Ci si chiede se costi così cara l’organizzazione di una Fiera da questi numeri tanto da non poter selezionare più di tanto gli sponsor, e conseguentemente se ci si è domandati se bisogna crescere così tanto, in questo modo, se non c’è alternativa, se la decrescita non è applicabile.
E se, invece, la selezione c’è stata, si ritorna alla domanda precedente. Quali sono i criteri? Non vanno rivisti? Provocatoriamente, o forse no, alcuni attivisti dei Gas, si chiedono se la Nestlè chiedesse di partecipare con i suoi prodotti biologici come il latte per lattanti bio o i suoi cioccolatini e caffè fairtrade come sarebbe vista la cosa?
Forse non sarebbe il caso di ripensare ad un nuovo modello di sviluppo di queste grandi manifestazioni che in questo modo rischiano di annacquare lo spirito iniziale per cui si pensava fossero sorte?
Dove sta andando “Fa la cosa giusta”?
Dalla ML della retegas.
E’ proprio vero che se ci salveremo sarà soprattutto
per merito delle donne. Di queste donne. Come Deborah
buona lettura
Paolo
Cari tutti,
Penso che le questioni poste siano molto importanti e meritino una
riflessione più ampia e duratura.
Condivido decisamente la riflessione sui rischi di una deriva mercatista di iniziative come questa, che rischiano di scambiare la giusta ambizione alla crescita (del coinvolgimento dei soggetti del cambiamento, dell’economia che cambia, degli stili di vita sostenibili, delle persone che si attivano per modificare le loro scelte di vita, ecc) con il gigantismo tipico del sistema capitalistico di mercato, che ha bisogno della crescita (quantitativa, economica, di posizionamento, dimensionale) per sancire la propria egemonia culturale.
Purtroppo questi meccanismi ferali, che hanno già decretato il fallimento di altri fenomeni storicamente nati per ripensare i rapporti di forza dentro il mercato (il sindacalismo per certi versi, il mutualismo e la cooperazione, certe forme di cooperazione internazionale e di commercio equo) sul piano della loro capacità trasformativa radicale, continuano a ripresentarsi con l’aggravante che non si scontrano con un pensiero critico forte in grado di sfidarli sul piano dei contenuti e delle dinamiche.
Quello che sarebbe più che opportuno oggi è un confronto dialettico e
organizzato tra modelli che presuppone l’esistenza di luoghi di costruzione di pensiero critico e complesso in grado di nutrire un dibattito sempre più sterilizzato da alcune polarizzazioni ideologiche: grandi contro piccoli, mercato contro società, produttori contro consumatori, sviluppo sostenibile contro decrescita. In realtà si stenta ad affondare l’analisi e decostruire quello che facciamo per scorgere gli elementi di innovazione da quelli di normalizzazione.
E scegliere.
Questo processo di perdita di lettura critica collettiva, di assuefazione collettiva verso modi e pratiche consumate (anche i gas corrono questo rischio fortissimo) che anziché essere luci profetiche portatrici di senso divengono meri esercizi di contabilità sostenibile (quante pere, pasta, mutande giuste compro?), facilita anche tutti quei fenomeni di colonizzazione e cooptazione da parte del mercato capitalistico che rischiano, nel tempo, di neutralizzare anche il movimento dell’economia solidale. Come l’esperienza di queste fiere nazionali rappresenta.
Senza anticorpi e riflessione critica condivisa è facile trovarsi vicini di stand che nulla centrano con questo percorso, o ingombranti sponsor che attraverso il greenwashing cercano di rifarsi una verginità.
Ma proviamo a prendere spunto da questo per andare oltre e non fermarci alla vis polemica – che pure è fondamentale.
Partiamo da qui per ritornare a fare politica, osando innanzitutto produrre pensiero critico, forte, autonomo
Un caro saluto
Deborah Lucchetti
A Morbegno (SO) si è da poco svolta la 2^ fiera C’è UNA VALLE, che si ispira alla comasca Isola che C’è.
Per ora questa fiera mantiene ancora ben marcati i propositi iniziali, ma ritengo che piano piano (con le dovute differenze di scala rispetto a Milano), anche questa verrà ‘inghiottita’ o almeno pesantemente influenzata da logiche di mercato.
Ho partecipato con un banchetto associazionistico (Vegani – Vegetariani di Valtellina e Alto Lario), quindi, come tanti altri con un proposito di farsi conoscere ed esporre delle idee. I veri e propri commercianti presenti erano cooperative negozi biologici. Ma in futuro bisognerà vedere. Si spera che l’organizzazione resterà piuttosto allargata e partecipata.
Parallelamente alle grandi o medie fiere, nascono ogni anno fiere piccole e diffuse, che mai risentiranno di questi problemi: a Bergamo qualche settimana fa, una piccola fiera dell’Autoproduzione, presso lo spazio giovani Edoné, è stata davvero una bella scoperta. Tanta partecipazione e tanto interesse, con la possibilità di partecipare ai laboratori (sapone naturale per lavastoviglie), di assaggiare autoprodotti alimentari (formaggi e dolci vegan, succo d’uva)..
forse bisogna puntare su iniziative meglio gestibili e più partecipate..